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Category Archives: Teatro

Roy: No, dillo. Di’ “Roy Cohn, sei omosessuale”. (Pausa) E io mi metterò a distruggere sistematicamente la tua reputazione, la tua attività professionale e la tua carriera nello stato di New York, Henry. E sai che lo posso fare. (Pausa)

Henry: Roy, ci conosciamo dal ’58. A parte il lifting, ti ho sempre curato io per tutto. Dalla sifilide…

Roy: Che mi sono preso da una puttana, a Dallas.

Henry: Dalla sifilide ai condilomi al retto. Che ti sarai anche preso da una puttana a Dallas, ma certo non da una puttana donna. (Pausa)

Roy: Allora dillo.

Henry: Roy Cohn, tu sei… Tu hai avuto rapporti sessuali con uomini, molte, molte volte, Roy, e uno, o piú di uno di loro ti ha fatto ammalare. Tu hai l’Aids.

Roy: Aids. Il tuo problema, Henry, è che tu sei fissato con le parole, con le etichette, e pensi che significhino ciò che sembrano voler dire. Aids. Omosessuale. Gay. Lesbica. Tu credi che questi termini indichino con chi uno va a letto e invece non te lo dicono.

Henry: No?

Roy: No. Come tutte le etichette non dicono che una e una sola cosa: a che punto della catena alimentare, a che livello della gerarchia sociale si inserisce un individuo identificato come tale? Non si tratta di ideologia o di inclinazione sessuale, ma di qualcosa di molto piú semplice: di potere. Non chi scopo o chi mi scopa, ma chi risponderà al telefono quando chiamerò, chi mi deve dei favori. Questo è ciò cui si riferiscono le etichette. Ora, per chi non riesce a capire tutto questo, omosessuale è ciò che sono io perché ho rapporti sessuali con uomini. In realtà non è cosí. Gli omosessuali non sono uomini che vanno a letto con altri uomini. Gli omosessuali sono uomini che in quindici anni di tentativi non sono riusciti a strappare al consiglio comunale un fottuto decreto contro la discriminazione. Gli omosessuali sono uomini che non conoscono nessuno e che nessuno conosce. Che non hanno potere. E io ti faccio quest’impressione, Henry?

Henry: No.

Roy: No, io ho potere; e ne ho molto. Posso alzare il telefono, comporre quindici numeri, e sai chi ci sarà dall’altro capo del filo in meno di cinque minuti, Henry?

Henry: Il presidente.

Roy: Ancora meglio, Henry. Sua moglie.

Henry: Sono impressionato.

Roy: Non voglio impressionarti. Voglio che tu capisca. Questi non sono sofismi. E questa non è ipocrisia. Questa è la realtà. Sí, ho rapporti sessuali con uomini. Ma diversamente da quasi ogni altro uomo per cui vale lo stesso discorso, io porto alla Casa Bianca il tipo che mi fotto e il presidente Reagan ci sorride e gli stringe la mano. Perché ciò che io sono è definito interamente da chi io sono. Roy Cohn non è omosessuale. Roy Cohn è un eterosessuale, Henry, che si scopa anche uomini.

Henry: Va bene, Roy.

Roy: E qual è la diagnosi, Henry?

Henry: Tu hai l’Aids, Roy.

Roy: No, Henry, no. L’Aids è ciò che hanno gli omosessuali. Io ho un cancro al fegato. (Pausa)

Henry: Beh, qualunque cazzo di cosa tu abbia, Roy, è una cosa molto seria e non ho proprio niente da darti. Per le cure sperimentali che fanno all’ospedale di Bethesda le liste d’attesa sono di due anni e nemmeno io posso fartici entrare. E allora tira su il telefono, Roy, e fai i tuoi quindici numeri e di’ alla first Lady che hai bisogno di una cura sperimentale per il cancro al fegato, perché puoi chiamarla come cazzoti pare, Roy, ma la sostanza è che sei messo proprio male.

Tony KushnerAngels in AmericaMillennium Approaches

 

Qui c’è molto da fare per l’odio, ma più ancora per l’amore.

O amore furioso, odio amoroso. O tutto, creato dal nulla, o leggerezza che gravi! O seria vanità. Caos informe di graziose forme (…) Inferma salute.

O sonno che ha sempre gli occhi aperti e che non è mai sonno!

Questo è l’amore che provo, senza sentire amore in esso.

E tu, non ridi?

Shakespeare – Romeo e Giulietta 1. I

Agnes: E’ una bella giornata.

Laborde: Meravigliosa… proprio adatta per iniziare una nuova vita… purchè lei sia disposta…

Agnes: Purtroppo ci si deve sparare, prima di iniziare una nuova vita.

Laborde: Parole amare in bocca a una giovane signora… ma può essere certa che non ci si può mai sparare abbastanza…

Agnes: E lei lo fa spesso?

Laborde: Si. è in un certo modo il mio suicidio quotidiano.. diciamo che sopravvivo per abitudine…

Agnes: (diffidente) Cosa sa dunque di me?

Laborde: Che lei ha tutte le ragioni per iniziare una nuova vita.

Agnes: Non ne sono più capace.

Laborde: Perchè si è incagliata in una nuova irrealtà.

Agnes: Devo sostituirla con un’altra?

Laborde: La nostra vita non consiste in nient’altro che questo… la realtà è solo nell’ininterrotto avvicendarsi delle irrealtà.

Agnes: Oppure si persiste in un’unica irrealtà e ci si convince che questa sia l’unica realtà… basta solo avere una fantasia abbastanza disciplinata…

Laborde: La fantasia della rassegnazione. (…) Lei è una truffatrice… lei vive al di sopra delle sue possibilità spirituali… vuole fingere con se stessa e con gli altri una realtà spirituale che non possiede… anzi, che non vuole nemmeno possedere… non mi meraviglierei se lei si uccidesse davvero, una volta o l’altra…

Agnes: Che devo fare? Le cose astratte non servono…

Laborde: Prima di tutto rendersi conto di essere una truffatrice…

Agnes: Bene, me ne rendo conto… ma anche questo è ancora astratto… (…) ma trovo che argomenti concreti siano indiscreti…

Laborde: E allora ragioniamo in astratto… supponiamo, sempre in astratto, che arrivi qualcuno e che abbia davvero il coraggio di truffare…

Agnes: Che genere di truffa?

Laborde: La più grande, che neutralizza se stessa perchè è quella del cuore e si chiama amore…

Agnes: Walther Ruthart mia ama.

Laborde: Non parlo di persone concrete, ma in astratto… non le ha mai detto qualcuno che la desidera perchè lei è così com’è…

Agnes: Questo non mi sembra tanto astratto…

(…)

Laborde: … e che lui ama invece solo la sua pelle e il profumo di questa pelle, che lui ha bisogno del suo respiro e vuole vivere nell’alito di questo respiro…

Agnes: (piano) Ma questa sarebbe davvero l’irrealtà…

Laborde: E’ la realtà del desiderio… è la realtà della nuova vita che ricomincia ogni giorno… nessuna tranquillità, nessuna promessa di amore eterno… (commosso, a bassa voce) ma il desiderio…

Agnes: (confusa) E questo lei lo chiama truffa…

Laborde: Si, perchè il desiderio anticipa l’infinito…

Hermann BrochInventato di sana pianta ovvero Gli affari del barone LabordeAtto Primo

 

 

 

 

 

OBERON: (…) Guarda che soave spettacolo! Adesso questa sua passione comincia a farmi pena. L’ho incontrata poco fa nel bosco, in cerca di dolci frutti per questo stupido obbrobrio; l’ho rimproverata e ci siamo litigati; aveva cinto quelle sue tempie pelose con una coroncina di fiori freschi e profumati; e la rugiada, che di solito trema sui bocci come perle rotonde e lucenti, s’era fermata sugli occhi di quei fiorellini come lagrime che deplorino la loro stessa onta. (…) Disincantiamo la regina: Torna ad esser quel che eri/a veder quel che vedevi/Questo è il magico potere/di Diana e del suo fiore. Svegliati Titania, dolce regina mia, svegliati!

TITANIA: Oberon mio, che visione ho avuto! Credevo d’essere innamorata di un ciuco.

OBERON: Eccolo il tuo amore.

TITANIA: Ma come è accaduto tutto ciò? Agli occhi miei quella faccia adesso fa schifo

(…) OBERON: Forza, la musica… Ecco regina mia, prendi le mie mani, e facciamo dondolare il terreno su cui dorme questa gente… Adesso tu ed io siamo tornati amici.

ShakespeareSogno d’una notte di mezz’estate – atto IV; scena I

O felice, chi ancora può sperare di cavarsela in questo mare di errori! Abbiamo bisogno di quello che non si sa e non sappiamo far uso di quello che sappiamo. Ma non turbiamoci, con tristi pensieri, il bene di questa bella ora! Osserva come scintillino, nel rossore del tramonto, le capanne, fra il verde. Il sole si sposta e cala; il giorno è finito e quello si affretta altrove e ridesta nuova vita. O perchè non mi solleva da terra un’ala per tendere sempre più verso di lui! Vedrei, ai miei piedi, nel raggio di un tramonto eterno, tutte le alture infuocate, tranquilla ogni valle ed il torrente d’argento scorrere verso onde dorate. E le montagne selvagge, con tutti i loro abissi, non frenerebbero la mia corsa, simile a quella degli dei, e già il mare con le sue baie intiepidite, si apre innanzi allo sguardo attonito. Alfine sembra che il dio sole stia per calare da lontano, mi affretto per bere della sua eterna luce, davanti a me il giorno, dietro di me la notte, il cielo sopra di me e sotto di me le onde. Un bel sogno, mentre il sole scompare. Ah! Sull’ali dello spirito non si accompagnano facilmente le ali del corpo. Tuttavia è innato in ognuno un sentimento che lo spinge in avanti e in alto: quando, perduta nell’azzurro spazio sopra di noi, l’allodola canta la sua squillante canzone, quando, al di sopra di ripide rupi rivestite d’abeti, l’aquila si libra ad ali spiegate e la gru, volando sui piani e suoi laghi, tende verso la terra natia.

GoetheFaustParte prima, Fuori della porta della città